Nella prima lettura di questa domenica, Mosé e il popolo di Dio devono affrontare gli acerrimi nemici amaleciti.
Mentre Giosuè con alcuni israeliti vanno a combattere, Mosé rimane sulla cima del colle tenendo il bastone sollevato. Quando alza le mani, i suoi prevalgono; ma quando le lascia cadere, sono sottomessi. Dopo diverse ore inizia a sentire la stanchezza, così decidono di prendere una pietra e farlo sedere per sorreggergli le braccia fino alla vittoria.
Il luogo dello scontro si chiama Refidim, la cui etimologia significa “avere mani deboli”. L’interpretazione allegorica del brano ricorda, quindi, che i nostri avversari (paure, tristezze, angherie, debolezze, vizi e difetti), hanno il sopravvento quando la preghiera ha le mani deboli, cioè quando è senza fede, senza fiducia, senza perseveranza.
L’episodio, inoltre, sembra suggerirci di perseverare con l’arma della preghiera, e combattere per il bene e la felicità nostra e degli altri.
Commento all’omelia della XXIX Domenica del Tempo Ordinario, dal parroco, don Michele Fontana.